(Italian language essay) Corea: la Musica cosmica di Mago by Luciana Percovich

[Author’s note: From Colei che dà la vita. Colei che dà la forma. Miti di creazione femminili, Venexia, Roma, Italia, 2009]

Capitolo 3 Corea: la Musica cosmica di Mago

Mago

Nell’Età del Primo Cielo, esistevano solo la luce del sole e l’acqua.

Quando Ryoe Ryul (la Musica cosmica armonizzata) risuonò più volte, emersero le stelle. Da Pal Ryoe (la Musica cosmica otto volte avvolta), si generarono Mago e il paradiso di Mago (Mago Sung). Fu un evento che ebbe luogo nell’Età Cosmica di Mezzo chiamata Jim Se (il Suo/Loro mondo). Mago preparò l’età che si chiama Ultimo Cielo.

cosmos

Mago non provava sentimenti né di piacere né di dolore. Nell’Età del Primo Cielo la grande cittadella di Mago stava sopra il SilDal (la Terra reale) e vicina all’HeoDal (la Terra ideale). Anche queste erano emerse dalla musica.

Quando il Jim Se ebbe compiuto i suoi cicli per molto tempo, prima dell’Ultimo Cielo (il Nostro/Questo mondo), Mago generò da sola due figlie, Kung Hee (volta) e So Hee (nido) e affidò loro l’Oem Chil Jo (le cinque note e i sette toni). E mentre praticavano l’arte di vivere, dalla terra sgorgava il latte; Kung Hee e So Hee generarono ciascuna due figlie e due figli. In seguito, Mago affidò Ryoe (la Musica cosmica femminile) alle quattro nipoti femmine e Ryul (la Musica cosmica maschile) ai quattro nipoti maschi.

Il paradiso di Mago, Mago Sung (la cittadella di Mago), che onorava l’Emblema celeste, seguì al Primo Cielo. Le quattro coppie, chiamate Hwang Gung (volta gialla), Baek So (nido bianco), Chun Gung (volta azzurra) e Heuk So (nido nero) furono posizionate ai quattro angoli della città. Ed esse costruirono i tubi (flauti) e composero musica.

Il ciclo dell’Ultimo Cielo si srotolava. Ryul e Ryoe tornavano a risuonare. Si formò Hyang Sang (la rappresentazione dell’eco), suoni e musica si mescolavano. Mago tirò la grande cittadella di SilDal e la immerse nella regione dell’Acqua celeste. L’energia del SilDal salì e coprì la nuvola d’acqua. Quando il corpo del SilDal si espanse, comparve la terra in mezzo all’acqua. Terra e acqua stavano parallele, sorsero le montagne e le correnti si allungarono. La regione dell’Acqua celeste divenne terra e le due nuove regioni di acqua e terra ruotarono ripetutamente, finché il sopra e il sotto si rovesciarono. Da qui iniziarono numeri e calendario. Energia, fuoco, acqua e terra si generavano, mescolavano e equilibravano in mutua relazione. Da quel momento la luce separò il giorno dalla notte e le quattro stagioni. Piante e animali crescevano in abbondanza. C’era tanto lavoro da fare sulla terra…

Poiché non c’erano altri se non i quattro uomini e le quattro donne celesti che amministravano la musica originale e la rappresentazione dell’eco, le cose apparivano e sparivano rapidamente senza tenersi in equilibrio. Mago allora mostrò loro come procreare dalle ascelle. Fu allora che i quattro uomini celesti si unirono alle quattro donne celesti. E ciascuna generò tre figlie e tre figli: gli antenati umani che apparvero per la prima volta sulla terra.

Tutti gli abitanti di Mago Sung avevano disposizioni di cuore e di mente pure e sincere e conoscevano l’armonia. Bevevano il latte che sgorgava dalla terra e il loro sangue era energia pura. Avevano oro nelle orecchie e sentivano la musica celeste. Correvano e camminavano a loro piacere, erano liberi nei movimenti. Alla fine della loro vita, diventavano polvere dorata. L’essenza dei loro corpi si conservava. Con l’hon (spirito dell’aria) risvegliato, sapevano parlare senza voce e muovendo il baek (spirito del corpo) sapevano agire senza forme. Vivevano sparsi tra le energie della terra e la lunghezza delle loro esistenze era infinita…

grapesQuando ogni clan raggiunse il numero di 3000 … Ji So (nido di ramo), del clan dei Baek So (nido bianco), non riuscì più a bere il latte della terra. La sorgente del latte era così piccola e affollata che Ji So perse il suo turno più volte. Così Ji So per la fame assaggiò l’uva e invitò altri a farlo e fu così che un gruppo fu mosso a provare questa nuova esperienza…

Il loro sangue e il loro corpo cominciarono a diventare torbidi, crebbero loro i denti, gli si aprirono gli occhi … stavano perdendo la loro natura celeste. Cominciarono a morire e la morte non fece più parte della vita. Nacquero creature bestiali. L’ordinato calendario cadde nel disordine. La comunità si divise e quelli che mangiavano l’uva lasciarono Mago Sung con vergogna, disperdendosi in luoghi diversi … . Fu allora che Mago chiuse i cancelli e ritirò le nuvole attraverso cui la gente poteva restare in sintonia con la Musica cosmica.

Questa articolata e splendida cosmogonia coreana, modulata sulle note e i toni di una grandiosa musica cosmica, è ritornata alla luce dopo che se ne erano perse le tracce da lungo tempo grazie a una nuova edizione del Budoji (L’Epica della Città dell’Emblema) e dell’Handan Gogi (Le Cronache arcaiche di Han e Dan) a metà degli anni Ottanta, in Corea[1] e in Giappone. È stata riletta e interpretata dalla teologa coreana Hye-Sook Hwang come il mito fondante del “magoismo”,[2] matrice mitico-storica della prima civiltà coreana, che comincia a partire dall’VIII millennio. Le sue lontane radici, l’eleganza e la completezza del suo impianto narrativo (di cui qui ho riportato solo la parte dell’inizio) ne fanno, all’attuale stato delle nostre conoscenze, uno degli Ur-miti di creazione più ricchi di tutti i continenti.

La sua prima versione scritta risale al V secolo d.C. e ne fu autore Bahk JaeSang, imparentato al clan imperiale, scrittore ed eroe coreano che morì in Giappone nel portare a termine una missione per il suo sovrano; ma altre fonti ne attribuiscono la scrittura a sua moglie Kim JaeSang, che comunque ebbe un ruolo importante nella sua stesura[3] e fu per lungo tempo venerata, assieme alle sue due figlie, in una statua di pietra conosciuta come Madre dal Triplice Corpo.

Il Budoji è diviso in quattro parti che raccontano l’origine e la cosmogonia di Mago, l’etnogenesi delle popolazioni dell’Asia orientale e la storia delle dinastie dei Dangun Choson (2333 a.C.-232 d.C.) e dei primi Shilla (57 a.C.-935 d.C.). Nella costruzione della Città dell’Emblema, Budo, luogo emblematico dell’armonia, i coreani fondano la loro prima identità e da allora in avanti tutte le dinastie imperiali di Corea, Cina e Giappone hanno legittimato il loro potere politico collegandosi in qualche modo a questa genealogia mitico/storica.[4]

È scritto in una prosa “epica” che non ha corrispondenti in altre opere coreane e incorpora una summa di complesse conoscenze su cosmologia, scienza, musica, matematica, filosofia e storia. La sua forma, nelle parole di Hye-Sook Hwang, “esprime una lingua/coscienza non patriarcale, caratterizzata da concetti e simbolismi non-lineari, non-gerarchici e non-monisti” e, commenta la studiosa, nelle credenze religiose e politiche est-asiatiche riveste lo stesso ruolo della Bibbia, con cui condivide il fatto di stabilire, come la Genesi, le origini di una civiltà, nonché alcuni topoi narrativi ricorrenti (come l’esilio dal giardino dell’Eden/dal paradiso di Mago[5]).

Tuttavia Mago è una figura più multiforme, oltre che più antica, di quanto lo sia Jahvé: è origine/progenitrice e creatrice “trascendente”; la sua sovranità – nel duplice senso della parola greca archè, che esprime sia il principio che la sovranità – è una ierofania, una manifestazione della sua incarnazione e della sua contemporanea appartenenza a un altro livello di esistenza; è femmina e maschio, ma si manifesta sulla terra per essere percepita dagli occhi umani al femminile, perché femminile è il sesso che genera e contiene il maschile. A sua volta il femminile, come abbiamo già visto nel Tao, non è solo una qualità relativa al sesso o al genere, ma è piuttosto la modalità dell’esistenza primaria. Quanto al concetto di sovranità, in esso è assente qualsiasi sfumatura di dominio o di soggiogamento, connotazioni assunte nelle successive culture patriarcali.

Mago, “arcaica matrice culturale ginocentrica dell’Asia orientale”, creatrice, progenitrice e sovrana, è dunque a ben guardare non una dea sessuata, ma piuttosto pre-donna e pre-madre, principio cosmico che introduce sulla terra l’armonia generata dalla musica cosmica della rete dell’universo di cui è parte. Quando si manifesta, come anche Amaterasu o Nu Kua, esiste già una mescolanza di elementi, terra acqua e luce. In un tempo che è presente eterno e continuo movimento e che per questa ragione sembra svolgersi per cicli, porta con sé un inizio, l’inizio di “Questo Cielo”, che diventa la mia, tua, nostra realtà. Come fa un acceleratore magnetico di particelle subatomiche, che ruotano vorticosamente e simultaneamente a destra e a sinistra. In altre parole, ci racconta la creazione dell’umanità in uno stadio del cosmo pre-umano che non è il caos, ma che funziona su ritmi e frequenze simili a quelli descritti dalle leggi della fisica e della geometria non euclidee.

“Madre gravida della grande Yoni, del vuoto, dello spazio aperto, della beatitudine meditativa, e di tutte le possibilità”,[6] Mago asessuatamente genera due figlie che prendono forma per espansione/emersione da uno stato fusionale. Ora esistono Mago e le due figlie, che formano la triade femminile, Mago Samsin; ora ha inizio l’età delle dee, dalla cui armonia si produce abbondanza, il “latte” che saprà nutrire il corpo e lo spirito degli umani a venire. Insieme, sono la manifestazione perfetta della musica armonica dell’universo.

Poi, in un’altra movenza, le figlie di Mago agiscono/subiscono un processo di mutazione, diventando ermafrodite: congiungendo dentro di sé le polarità ancora non oppositive, perché in movimento e vibrazione costante, del femminile e del maschile, generano partogeneticamente nel mondo visibile femmine e maschi, fissando e materializzando parti diverse di sé.

Nel mito mongolo-buriata della Grande Madre Spirito, così si racconta la stessa genesi:

Ekhe Ekhe Burkhan (Grande Madre Spirito) creò la terra e la popolò di animali, poi fece in modo di restare gravida del sole e della luna, dando così alla luce due figlie … . Le due figlie della Dea Madre diventarono Manzan Gurme Toodei e Mayas Hara Toodei, madri delle tribù occidentali e orientali degli spiriti del cielo. Quando ebbe finito il compito della creazione, Ekhe Ekhe Burkhan fece in modo che anche le figlie potessero diventare madri degli dèi e si ritirò nel più alto dei cieli.[7]

Anche nelle culture mediterranee le dee più antiche nascono per partenogenesi, come Metis, Gaia, Afrodite, per citare le più note, o Tiamat in Mesopotamia. Allo stesso modo, le divinità egizie più antiche, i neteru, hanno tutte il loro doppio, di cui col tempo si è persa la memoria (Capitolo 8). E solo successivamente compaiono le dee ermafrodite, come Metis-Phanes[8] e Cibele-Agditis/Attis. Memoria di cui resta traccia fino all’Ermafrodite di Platone.

La modalità di esistenza primaria dunque era femminile, comprendeva inespresso il doppio di sé e il maschile; poi venne il tempo in cui il femminile si spezzò, perse la sua natura diploide e nacquero solo donne e uomini. E così ebbe inizio l’età delle donne.

Accostiamo ora al mito, anche questa volta, un testo scientifico contemporaneo, sulla riproduzione per divisione cellulare, osservando in particolare il processo che prende il nome di meiosi:

Tra gli organismi unicellulari – i procarioti – come i batteri, che sono microrganismi primitivi privi di nucleo ma forniti di DNA libero nel citoplasma, si trovano esempi di riproduzione in parte sessuata attraverso fenomeni di ricombinazione genica.

Invece negli organismi provvisti di nucleo – gli eucarioti – il DNA è organizzato in cromosomi… . Ogni specie di eucarioti possiede un insieme di cromosomi che è costante per numero e forma. In tutte le cellule con assetto cromosomico completo – chiamato diploide – i cromosomi sono simili a due a due e sono chiamati omologhi … . Ogni cromosoma si duplica al momento della suddivisione cellulare a formare due parti identiche, i cromatidi … . A partire dai più semplici esseri pluricellulari (animali e piante) si possono distinguere cellule sessuali specializzate, i gameti, la cui funzione è quella di realizzare la fecondazione e di iniziare lo sviluppo di un nuovo organismo; il gamete femminile, oocita, è il più grande dei due, il gamete maschile, spermatozoo, è piccolo e mobile, ridotto all’essenziale: un nucleo e le ciglia o flagelli necessari a farlo giungere fino all’uovo.[9]

A loro volta i gameti si producono attraverso una divisione cellulare, che può essere o la mitosi (che pur non essendo l’unico processo possibile è quello considerato “naturale”, in quanto tipico della riproduzione sessuata), in cui si incontrano coppie di cromosomi provenienti dalla madre e dal padre, e la meiosi, “nella quale da ogni cellula germinale originaria, con assetto diploide (ossia che contiene un assetto cromosomico completo), derivano quattro cellule (i gameti maschili o femminili) con solo metà del patrimonio genetico originario – assetto aploide. I gameti portano quindi un solo cromosoma per ogni coppia…”.[10]

Detta in questo linguaggio, Mago è la cellula germinale originaria, un procariota (Capitolo 5) che contiene nel suo essere citoplasmatico tutto il DNA e duplica se stessa in due omologhe, le figlie. Nel loro organismo si avvia prima il processo di meiosi, in cui per divisione si producono i gameti maschili o femminili e, venuti al mondo i maschi, inizia la procreazione attraverso il “normale” processo di mitosi, proprio degli organismi più complessi.

E quale significato ha nella scienza contemporanea la parola “partenogeneticamente”? In biologia, è chiamato così “lo sviluppo di uova non fecondate, fenomeno che può avvenire sia negli animali, sia nelle piante, e può essere spontaneo … o provocato artificialmente: deve considerarsi come un modo di riproduzione sessuale in cui è assente l’atto della fecondazione … . In una più vasta accezione, sono compresi nei fenomeni partogenetici anche i rari casi di sviluppo del gamete maschile senza fecondazione”.[11]

La partenogenesi ci parla dunque del corpo femminile che, senza coito con un maschio, può dare inizio a una gravidanza e non genera, come normalmente si crede, esclusivamente creature del suo stesso sesso, ma anche maschi: come nel caso delle api, le Melisse, le cui uova fecondate danno origine a femmine, mentre quelle che si sviluppano partogeneticamente a maschi! In alcune specie di insetti e nematodi, si osserva un’alternanza di generazioni partogenetiche e di generazioni eterogoniche, spesso legata allo schema dei cicli climatici.[12]

bamboo flutesIl mito di creazione di Mago finisce così per riportare a galla anche il senso perduto di uno dei dogmi della religione cattolica, quello dell’“Immacolata Concezione”, espressione che potremmo usare come titolo di questo mito come di tanti altri in altri continenti. “Nella Musica cosmica otto volte avvolta si generò Mago, il paradiso di Mago e le altre creature terrestri”: sembra proprio che con queste parole il mito registri la memoria cellulare del passaggio dalle leggi della fisica, a quelle della chimica, all’umano.

Con la venuta nel mondo dei maschi, si entra in Questo Cielo, l’Ultimo Cielo. Come non ricordare a questo punto le lapidarie parole che scrive Elizabeth Gould Davis, in The First Sex: “L’uomo non è che una femmina imperfetta. Genetisti e fisiologi ci insegnano che il cromosoma Y, responsabile della nascita di maschi, non è altro che un cromosoma femminile X deforme o monco”. Tanto che: “Sembra del tutto logico che questo piccolo cromosoma alterato, Y, sia un errore genetico – un incidente della Natura, e che in origine il sesso fosse unico, femminile”.[13]

spazio

Jung Pyong Noh, commentatore coreano del Budoji, scrive:[14]

L’Universo è creato da Pal Ryoe (la Musica cosmica otto volte avvolta). La musica di Pal Ryoe è una vibrazione generata dal movimento dell’asse terrestre e si espande in otto direzioni. … Oem sono le Cinque Note, il suono che si muove verso l’interno, al centro dell’asse gravitazionale … in un crescendo e diminuendo dei suoi cicli. Cil Jo, i Sette Toni, trasferiscono la direzione del suono verso l’esterno, fino al suo zenith. Kung Hee e So Hee assolvono i ruoli dell’Oem Cil Jo.

Ryoe Ryul (scritto anche Yoe Yul), la musica cosmica femminile e maschile è simile nei suoi movimenti all’intrecciarsi continuo di yin e yang,[15] che genera le spirali delle galassie e la doppia spirale di quello che oggi si chiama DNA, che si avvolge e ruota su se stessa.

Pal Ryoe è simile a sattva, tamas e rajas, cioè alla shakti indiana,[16] e la musica cosmica otto volte avvolta si manifesta come Mago Samsin, la triade composta dalla madre e dalle due figlie, origine dell’umanità. Ryoe Ryul si mostra finalmente identificabile come l’universo cosmico che si muove secondo le leggi fisiche, mentre Pal Ryoe compone le combinazioni chimiche che danno origine alla vita organica, che si moltiplica per meiosi partenogenesi e mitosi.

Jung Pyong Noh associa la musica, in quanto forza primaria in azione, anche alle movenze di una danza, la danza di auto-bilanciamento che compie la terra nell’universo, insieme alla luna. E sulla terra danzano i corpi, quando sono capaci di muoversi abbandonandosi al ritmo e alla melodia. Quando la terra danzava in tono con la musica dell’universo, la musica cosmica/suono sacro poté (pro)creare i primi esseri. Più vicini a noi, i pitagorici pensavano che la musica delle sfere, o armonia eterea, fosse prodotta dalle vibrazioni delle sfere celesti che fanno muovere stelle e pianeti, e disegnavano le “spirali coniche di Archimede”.

Mago affida Ryoe, la musica cosmica femminile, alle nipoti femmine e Ryul, la musica cosmica maschile, ai nipoti maschi che “furono posizionati ai quattro angoli della Città. Essi costruirono i flauti e composero musica”. Ritroviamo anche qui il concetto di creazione continua: il compito affidato alle/ai nipoti è di tale importanza che vengono messi ai quattro punti cardinali della dimensione spazio/temporale per mantenere la terra in sintonia con la musica cosmica. E donne e uomini hanno costruito flauti e composto nuova musica, ma la musica nuova è in sintonia con la musica cosmica?

Che la storia dell’umanità possa apparire non solo come la storia di una positiva specializzazione e dello splendido procedere di una evoluzione intelligente, in costante e lineare progresso ma anche come la storia di una progressiva de-cadenza, dal paradiso di Mago e da una più diffusa età dell’oro, scendendo via via a quella del bronzo, del ferro, dell’atomo, è un’idea che dopo il Secolo dei Lumi e la visione darwinista ottocentesca può suonare insensata. Uno dei dogmi della scienza patriarcale è che la continua differenziazione dell’intera massa biologica sia stata il modo “naturale” di esprimersi della forza vitale organica che ci ha condotti all’invenzione delle culture “umane”. E come mai allora i regimi patriarcali, in particolare quelli legittimati dalle religioni monoteiste, si sono dati tanto da fare per uni-formare il pianeta e cancellare ogni biodiversità, vegetale, animale e culturale?

Probabilmente perché se è vero che la vita nel cosmo e sulla terra sembra procedere per separazione/differenziazione da un tutto originario che con-tiene le possibilità dentro di sé, le separazioni e le differenziazioni progressive, di cui quella tra maschile e femminile appare decisiva, dovrebbero avvenire mantenendosi tra di loro in uno stato di equilibrio. Il femminile e il maschile contengono entrambi aspetti creativi e distruttivi, ed è solo nella loro contemperanza che è possibile ottenere quello stato di armonia necessario alla continuazione della creazione. Dopo diversi millenni di civiltà equilibrate che in alcuni luoghi sono riuscite a durare fino a non troppi secoli fa e altrove fino a ieri, i sistemi patriarcali, nei loro risvolti familiari sociali economici politici e religiosi hanno introdotto ovunque un grave stato di squilibrio, basato sul dominio del più forte (?), che ha tentato ovunque di imporre la predominanza di un pensiero unico/universale, che si insinua a tutti i livelli attraverso le “monoculture della mente” (Vandana Shiva). Vediamo davanti ai nostri occhi come le differenze stanno sparendo rapidamente, in tutti i campi; tra le specie, nelle coltivazioni, nei cibi, negli abiti, nei divertimenti, nei sentimenti, nei pensieri.

Il dilagare della logica del dominio, che non riesce a trovare un limite davanti a cui fermarsi, oggi sta lavorando per la fine di un esperimento di creazione del cosmo, per il ritorno a un unico indifferenziato che ingoierà le attuali forme di vita su questo pianeta. In un’implosione che, come un buco nero in cui collassano energia e materia, rigenererà la sostanza vivente per riesploderla in un altro ciclo. Eppure Mago, matrice cosmica e insieme Madre Natura, aveva affidato la musica cosmica femminile e la musica cosmica maschile alle nipoti e ai nipoti; ma questi non sono stati capaci di generare nuova musica cosmica “armoniosamente intonata”, e “fu allora che Mago chiuse i cancelli e ritirò le nuvole attraverso cui la gente poteva restare in sintonia con la musica cosmica”.

Mary Daly ci ricorda il nesso dimenticato tra la musica e le muse: “In origine le Muse erano concepite come vergini caste”. E Barbara Walker, nella sua enciclopedia dei miti femminili[17] scrive: “Le Muse erano in origine una triade, la primordiale Dea Triplice. La scala musicale a sette toni, corrispondenti alla sette sfere, fu una loro invenzione”.

E ancora Barbara Smith[18], in The Feminist Companion on Mythology, scrive: “Le Muse erano la fonte di tutta la conoscenza, e i poeti le invocavano all’inizio di ogni declamazione, per rassicurare che così facendo dicevano la ‘verità’ … . Mouseia erano chiamati i luoghi in cui cantavano gli uccelli, una manifestazione del divino, e più tardi filosofi come Platone e Aristotele chiamarono le loro scuole ‘musei’”.

In India e in Nepal le Septa Matrikas (le sette madri, aniconica devozione alla Natura e ai suoi elementi, venerati nella forma di alberi e serpenti) compaiono a volte come le Asta Matrikas, che indicano le otto direzioni cardinali; nella valle di Katmandou sono dette “nove”, essendo la nona la rappresentazione del centro.

Quanto a Mago, ancor oggi nei racconti del folclore coreano è chiamata “Madre delle otto sciamane”, a ricordare che furono da lei mandate come progenitrici nelle otto province della terra. In questi racconti, sono presenti anche gli altri nomi con cui Mago è rimasta viva nella tradizione popolare: Samsin (triade divina), Chunsin (divinità celeste), Daejosin (divinità progenitrice), Ilsin (unica divinità), Sin (divinità) e Chun (cielo). Già nell’Handan Gogi, infatti, il nome Mago fu soppresso e sostituito da questi appellativi, che in coreano sono di genere neutro: un artificio letterario per far dimenticare la sua manifestazione femminile o per indicare la sua natura complessa?

Altri nomi popolari dietro cui si nasconde Mago sono Halmi/Halmony (Vecchia divina/Nonna), Sansin (san = monte, quindi dea della montagna; oltre 50 monti mantengono vive tradizioni che li legano a Mago), Mudang (Sciamana, mu = sciamana o sciamanesimo), Seon Nyoe (donna immortale) e Haesin (dea del mare). Talvolta il nome appare nella forma abbreviata Go, che a sua volta genera nomi come NoGo (dea arcaica), SeoGo (dea benevola), GoMo (dea madre).

Molti di questi racconti che parlano di Mago trattano dell’origine dei rituali sacri oppure sono storie di creazione a livello locale, che la ricordano come una Donna Gigante, il cui passaggio all’inizio dei tempi provocò la nascita di montagne, di isole, di corsi d’acqua; molti siti neolitici, dolmen, menhir e templi (la documentazione del Neolitico è ricchissima nella penisola coreana) sono dedicati alla sua venerazione. Attraverso queste storie, scopriamo sorprendenti tratti in comune con le culture megalitiche mediterranee: sull’isola Jangjya si racconta come “un giorno una donna del villaggio stava lavando i panni nel fiume. Improvvisamente divenne buio e la donna alzò gli occhi al cielo. Era Mago Halmi, così alta da toccare il cielo, che camminava verso la costa arrivando dal mare del sud”. Come l’epifania di Iside nei racconti dei suoi devoti.

O ancora possiamo osservare come l’immagine che compare nel racconto dell’isola di Cheju “mentre Mago trasportava terra nella sua gonna, zolle di terra cadevano giù e formavano piccoli vulcani”, si appai al mito maltese di Sansuna, la Donna Gigante, con un’unica variante nel raccontare un particolare in più: mentre spostava i macigni nel suo grembiule e costruiva con le pietre i templi, teneva sua figlia sulla schiena. Questo motivo della gonna/grembiule/manto perdura fino alla figura di Melusina nella letteratura fantastica del Medioevo europeo:

Melusina ha la natura della Dea, per questo la sua fecondità non si esprime soltanto nel campo naturale della procreazione, ma trova espressione nell’attività di edificatrice, di costruttrice entro un ambito di norma considerato maschile. Emblema di questo suo potere è il suo manto con cui trasporta pietre a cui dare ordine e forma stabile, permanente, destinata a durare, per proteggere, circoscrivere, esaltare, dar lode all’immenso e al sacro entro spazi concepiti secondo umana misura. Quel suo grembiule – la dorne – è unito, nel simbolo, al suo grembo materno che dà luce a quei figli chiamati a godere della potenza delle sue costruzioni ancorate alla terra e anch’essi destinati a esaltare … l’originaria fecondità elargita da Madre Natura. La fecondità di Melusina … si esprime con movimenti d’orchestra che accolgono della sfera sensibile le diverse voci, i timbri, gli strumenti, i registri con l’intento di imprimere un’anima alla materia.[19]

E Mago in alcune zone è raccontata proprio come una melusina, lamia, aganis o krivapeta europea: dispettosa con gli uomini, sapiente in gravidanze e parti, capace di assumere l’aspetto di una volpe o di un gatto, vecchia cisposa e subito dopo donna bellissima, “coi capelli arruffati, un naso a becco e i talloni unghiati d’uccello”, strega che poteva essere sconfitta solo “da chi di notte riusciva a infilarsi nella sua casa e tagliarle la coda”! Dunque, anche Mago condivide nell’immaginario la natura del pesce e del rettile.

Infine Mago è anche Tessitrice Celeste (collegata a Vega e festeggiata il 7 luglio) e, come una morrigan, una dea guerriera ancora evocata nel racconto del XVI secolo in cui un certo generale Shinrip riuscì a sconfiggere l’esercito giapponese grazie alla costruzione sul campo di battaglia di un ritratto di Mago, circondato da infinite bandiere messe a sventolarle intorno, che confuse i nemici sull’entità dell’esercito che avevano davanti.


[1] Bahk JaeSang, The Budoji. Epic of the Emblematic City, Seoul, Hanmunhwa 1986. Le sue 4 parti sono suddivise in 33 capitoli. Seung-Guk Im, The Handan Gogi. Archaic Chronicles of Han and Dan, Seoul, Jungshin Segyesa, 1986. È una raccolta di 5 testi composti in periodi diversi da autori diversi. La traduzione inglese è apparsa negli Stati Uniti nel 2003 ad opera di Yoon Thomas, The BuDoZhi. The Genesis of MaGo (Mother Earth) and the History of the City of the Heavenly Ordiance, Notre Dame, IN, Cross Cultural Publications.

[2] Mago è per Hye-Sook Hwang la “Grande Dea dimenticata” dell’Asia orientale. Magoismo è un neologismo da lei “riscoperto” per indicare “un agglomerato mitico-politico-storico in cui affondano le radici di tutta la cultura est-asiatica, “mito originario, storia pre-cinese, identità proto-coreana, cancellata civiltà ginocentrica dell’Asia orientale”, in Hye-Sook Hwang Helen, “An Investigation of Gynocentric Unity in Mago, the East Asian Great Goddess, and Elsewhere”, in Conference of Pacific and Southwest Women’s Studies, April 2004, Claremont CA.

[3] La trasformazione delle cosmologie più antiche e dei relativi rituali in religioni patriarcali avvenne anche in Asia orientale durante il primo millennio a.C. Verosimilmente Kim JaeSang era la custode di una lunga genealogia di donne sovrane, guerriere, sciamane, come la giapponese Hieda no Are (Capitolo 2). Affidando alla scrittura l’antica narrazione, nell’ambiente di corte ormai patriarcale, non desta stupore che sia stata presentata come opera del marito. È autrice riconosciuta del Canto alla Collina di ChiSul, uno dei luoghi sacri del magoismo.

[4] Budo è il nome popolare per il regno di Shinsi, chiamato anche Danguk (3898-2333 a.C.), a cui seguono i Dangun (i Primi) Choson (2333-232 a.C.). La dinastia dei Danguk inizia con Ung Nyoe (la donna/orsa, capostipite mitica della tribù regale degli Orsi), che è anche l’ultima discendente degli Hanguk, la dinastia mitica che copre l’arco di tempo che va dal 7199 al 3898. Anche gli antichi saggi cinesi, come Fuxi, Shennong e Huangti, vantano la stessa discendenza da Ung Nyoe.

Alla dinastia dei Shilla (57 a.C.- 935 d.C.) è succeduta la dinastia dei Koryo (918-1392) e infine quella dei Choson (1392-1919); solo in quest’ultimo periodo si è attuata la realizzazione piena del patriarcato, rafforzata dall’invasione giapponese (1592) e dal forte influsso del neoconfucianesimo.

Il simbolo del Sigillo Chunbu Samin (i tre sigilli dell’Emblema celeste) è il più antico simbolo di sovranità che deriva da Mago. Sia l’Handan Gogi che il Budoji raccontano i passaggi di questo simbolo a partire dalle mani dei più antichi regnanti dell’Asia orientale/Corea fino al Giappone medievale.

[5] Magosung, che letteralmente significa “la città delle mura di Mago”, è in primis metonimia per “la terra”, quindi allude alle mura megalitiche degli insediamenti neolitici e, successivamente, rappresenta il prototipo ideale delle città/stato della protostoria coreana.

[6] Come recita un mantra della tradizione tantrica Vajrayogini dedicato alla Dakini Bianca nel mandala delle Cinque Dakini (Vicki Noble, “Deconstructing Yesce Tsogyel, Tibet’s Amazing Mother of Knowledge”, in Matrifocus, Samhain 2008 e Imbolc 2009, www.matrifocus.com).

Hye-Sook Hwang ipotizza che anche la pratica del futuro Buddha, Maitreya (Mireuk in coreano), derivi da una tradizione indigena coreana ginocentrica (Mireuk è un altro nome di Mago, le prime statue coreane di Mireuk hanno lineamenti femminili ecc.)

[7] Mito raccolto da Sarangerel (Julie Ann Stewart), “Wife, Mother, Shamaness, Warrior Woman: the Role of Women in Mongolian and Siberian Epic Tales”, in Michael Gervers, Wayne Schlepp (eds.), Continuity and Change in Central and Inner Asia, University of Toronto, Asian Series, Toronto 2002, p. 314. Anche questo indizio contribuisce all’ipotesi sulle prime radici del magoismo, comune a tutte le popolazioni dell’Asia orientale, che sarebbero da collocare nella comune cultura sciamanica siberiano-mongolica, con un suo centro di diffusione collocato nei monti del Pamir. La stessa etimologia coreana del nome Mago la indica come “divinità della montagna”.

[8] Fanete è forse non molto noto nella tradizione greca classica, essendo la creatura originaria nel sistema mistico orfico. Nato dall’uovo cosmico, la sua parte superiore diventa cielo, l’inferiore terra. Si ritira in cielo all’apparire del dominio di Zeus. Mito di probabile derivazione asiatica.

[9] Frontali Nora (a cura di), La cicogna tecnologica, Edizioni Associate, Roma 1992, pp. 16-17.

[10] Ibidem.

[11] Dizionario Enciclopedico Italiano, Treccani, 1970.

[12] Per una trattazione esauriente e una bibliografia adeguata su questo tema assai poco indagato dalla scienza ufficiale, Wex Marianne, Partenogenesi oggi. La forza primordiale della donna di concepire da sé, senza partecipazione di un secondo sesso, Edizioni Lilaurora, Sociville 2003, lilaurora@motrano.it.

[13] Gould Davis Elizabeth, The First Sex, Penguin Books, USA 1971, p. 34.

[14] Jung Pyong Noh, The Revolution of Old Choson, Seoul, Daehan 2003.

[15] Secondo Alain Danielou, “I termini yin e yang … non sono altro che una pronuncia cinese delle parole (indiane) yoni e linga, emblemi del principio femminile e di quello maschile” (Miti e Dei dell’India, RCS 2002, p. 10). Anche le parole greche gynè e aner/andròs echeggiano gli stessi suoni radicali (-in per il femminile, –an per il maschile). Solo che nel greco antico passano a significare donna e uomo, costringendo/riducendo due qualità universali in corpi oppositivamente ed esclusivamente sessuati: o donna o uomo.

[16] Vedi Capitolo 8.

[17] Walker Barbara, The Woman’s Enciclopedia of Myths and Secrets, Harper & Row, San Francisco 1983.

[18] Larrington Carolyne (ed.), The Feminist Companion on Mythology, Pandora Press, London

1992.

[19] Lomi Carla, Alle origini della Fata. La donna e la sua psiche allo specchio, Edizioni Meridiana, Firenze 2004, pp. 83-84. Su melusine, sirene e ibridi sacri, Lao Meri, Il Libro delle Sirene, Di Renzo Editore, Roma 2000.


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